di Frank Ostaseski
Solitamente abbiamo la tendenza a creare e modellare un’immagine positiva di noi stessi, magari gonfiando le nostre capacità o la nostra importanza. Altre volte, al contrario, possiamo buttare benzina sul fuoco e dar vita ad un concetto negativo di noi stessi, esagerando difetti o debolezze. Sappiamo intrinsecamente che questa costruzione, ovvero l’immagine di noi che portiamo in giro e proiettiamo nel mondo, non è sostanziale né tantomeno reale eppure investiamo energie in essa e arriviamo a scambiarla per la realtà.
Siamo continuamente impegnati nel dare un’identità accettabile dalle nostre storie, finché gradualmente ci troviamo a vivere inconsapevolmente nella loro trama: non possiamo più separare la storia e ciò che siamo realmente. Non possiamo immaginare di esistere senza un’immagine di noi e i suoi attaccamenti. La pratica sgretola ciò che sembrava così solido: ci rendiamo conto che cambiamo costantemente impressioni e rappresentazioni, che la nostra storia è tenuta insieme da sputi, colla e abitudine. Veniamo alla consapevolezza che l’identità non è uno stato statico. Identificare è un’azione interiore, un processo che facciamo a noi stessi. Siamo già un’espressione unica di unità… perché lavorare così duramente per cercare di essere qualcosa di più?